Il 15 gennaio 2009, poco dopo essere decollato dall’aeroporto di LaGuardia (New York), un Airbus A320-214 con due motori turboventola e 155 persone a bordo, subì un impatto con uno stormo di oche canadesi perdendo potenza su entrambe le turbine.
Solo la prontezza di spirito dei piloti, il Comandante Chesley “Sully” Sullenberger, e il Primo Ufficiale Jeffrey Skiles, permise di evitare la tragedia, riuscendo in un’impresa a dir poco fenomenale: ammarare sul fiume Hudson.

Nonostante, in seguito ai dati peritali effettuati dopo l’incidente, alcuni esperti sostennero che l’aereo sarebbe quasi certamente riuscito a tornare a LaGuardia, la decisione dei piloti di ricorrere all’ammaraggio di emergenza si è dimostrata cruciale per l’incolumità di passeggeri ed equipaggio, fornendo di fatto la più alta probabilità di sopravvivenza, date le circostanze.
Ma cosa ha permesso a Sully e Skiles di riuscire a mantenere il sangue freddo e prendere in pochi istanti una decisione così efficiente, nonostante la situazione spaventosa?
Quando viviamo una situazione di pericolo proviamo paura, chiaramente. La paura è un’emozione che può sopraffarci, rendendo difficile pensare con chiarezza e prendere buone decisioni. Tuttavia, d’altra parte, essa rappresenta un meccanismo fondamentale di sopravvivenza perché ci costringe a rispondere rapidamente alle minacce, reali o percepite che siano.
Questa risposta è regolata principalmente dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) e dal sistema nervoso autonomo (SNA), in particolare dalla sua componente simpatico-adrenergica. Vale a dire che, quando percepiamo un pericolo o una situazione rischiosa per la nostra incolumità, il nostro cervello attiva il sistema nervoso simpatico, affinché possa innescare una serie di cambiamenti fisiologici strategici mediati da ormoni, che preparano adeguatamente all’azione.
A livello neurobiologico, la paura stimola l’amigdala e altre strutture limbiche ad attivarsi e innescare una cascata di rapidissime reazioni biochimiche che ci preparano all’azione. Sperimentando, ad esempio: un aumento della frequenza cardio-circolatoria, un’intensificazione sensoriale, il restringimento delle pupille (funzionale per l’attenzione ai dettagli), il rilascio di ormoni come il cortisolo e l’adrenalina e un innalzamento del metabolismo energetico, per far sì che i muscoli siano pronti per scattare.
Allo stesso tempo, il cervello inibisce funzioni in quel momento poco utili per la sopravvivenza, come la digestione, mentre incrementa l’attività prefrontale e limbica per focalizzarsi sulla minaccia incombente. In altre parole, prioritizza la rapidità decisionale a scapito di un ragionamento più ponderato.
Questa è, sostanzialmente, la tipica risposta di “Attacco o Fuga” (Fight or Flight, in inglese).
Ora, sebbene in alcuni casi l’impulsività reattiva conduca all’agire incontrollato e randomico, in altri può fare la differenza tra la vita o la morte. In ciò il neurotrasmettitore dopamina è un valido alleato. Infatti, quando la risposta impulsiva conduce a un esito che la persona sperimenta come efficiente e positivo, nel suo cervello viene rilasciata dopamina, che stimola il cd. sistema “di reward” (gratifica): un sofisticato circuito nervoso sottocorticale che a livello evolutivo ci ha permesso di adattarci e sopravvivere come individui e come specie. Sperimentare una gratifica materiale o psicologica dopo aver compiuto con successo una determinata azione e/o aver gestito al meglio una certa situazione, ci porta a ripetere quel comportamento in circostanze simili.
Questo è il meccanismo alla base delle dipendenze, della creazione di abitudini, della motivazione, nonché dell’apprendimento per esperienza.
Ecco perché durante l’addestramento i piloti trascorrono moltissime ore nei simulatori di volo: attraverso la possibilità di sperimentare in sicurezza scenari pericolosi realistici, imparano a capire cosa fare per mantenere il controllo della situazione. Quando il volo US Airways 1549 ha perso potenza, anziché abbandonarsi al panico, Sully e Skiles sono rimasti composti e concentrati mantenendo in piena efficienza l’attività delle loro cortecce prefrontali, riuscendo a effettuare quello che oggi è conosciuto come “il miglior ammaraggio nella storia dell’aviazione”.
Riferimenti bibliografici
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