Il cervello siede al banco degli imputati

  Il complicato rapporto tra neuroscienze, malattia e vizio di mente

Le condizioni morbose neurologiche, neuropsicologiche e psichiatriche capaci di inificiare la capacità umana di discernere tra ciò che è bene e ciò che è male, e dunque anche di influenzare la facoltà di intendere e di volere di un individuo, rappresentano un tassello estremamente delicato in ambito peritale forense. La relazione tra compromissione mentale, intenzionalità e imputabilità, infatti, è ancora oggi oggetto di vari disaccordi e limitazioni sia teoriche che interpretative che rendono estremamente difficoltoso stabilire quanto una data lesione cerebrale o – questione ancor più delicata – una patologia psichiatrica possano effettivamente compromettere la capacità individuale di, ad esempio, arrestare in tempo la messa in atto di un’azione o di una attività potenzialmente lesiva nei confronti di un altro individuo.

Ai sensi dell’articolo 88 del Codice Penale, non è imputabile chi, nel momento in cui abbia commesso un fatto penalmente rilevante, fosse in uno stato mentale tale da escluderne la capacità di intendere e di volere. Tuttavia, non è sufficiente accertare l’esistenza nel soggetto di una infermità psichica o di una lesione cerebrale genericamente capaci di provocare un vizio di mente, ma è necessario che tali condizioni siano tali da azzerare completamente  – o di aver azzerato al momento del fatto – le capacità di quella persona di gestire e comprendere le conseguenze del proprio comportamento. Dunque, quel che è necessario chiarire è l’assetto psichico del soggetto, ovvero la sussistenza o meno – in quel determinato contesto e momento – di attitudini autodeterminanti, in termini di capacità di intendere e di volere, comprensivi di tutti quei disturbi mentali e quelle condizioni patologiche ascrivibili nella categoria delle infermità che, per la loro consistenza, rilevanza e gravità siano tali da incidere sulla capacità di intenzione e volizione della persona stessa.

In questi termini, fondare un giudizio su una impostazione meramente descrittivo-osservativa rischia di rivelarsi del tutto insufficiente, essendo invece necessario indagare con rigore clinico sulla natura della persona e sui meccanismi psichici e psicopatologici messi in atto dalla stessa nel caso specifico. A tale riguardo, gli studi e le osservazioni scientifiche condotte negli ultimi anni su soggetti sia sani che neurologicamente o psichicamente compromessi, si stanno rivelando strumenti preziosi, capaci di offrire un’idea sempre più chiara e precisa di quelli che sono i meccanismi neurobiologici alla base dei processi decisionali, delle scelte consapevoli, della regolazione del comportamento e dell’impulsività, delle capacità di comprendere le conseguenze del proprio agire e, in buona sostanza, di tutte le facoltà alle fondamenta di quel “poter scegliere di fare altrimenti” (cit. Gulotta & Curci, 2010) che rende un individuo giuridicamente capace di intendere e di volere. In particolare, tali meccanismi sembrano essere legati, più o meno direttamente, alle attività e alla funzionalità dei lobi frontali cerebrali.

Grazie alle neuroscienze è oggi possibile connotare la valutazione peritale di una maggiore oggettività rispetto al passato. Ciò ovviamente non vuol dire che esse siano in grado di dare certezze, quanto piuttosto che possano fornire ipotesi dotate di un buon grado di probabilità scientifica, dal momento che consentono di evidenziare le condizioni di vulnerabilità e i fattori di rischio che rendono statisticamente più probabile l’attuazione di un comportamento criminale da parte di un determinato soggetto. Ad esempio, è stato dimostrato che una anomala funzionalità dei circuiti neurali frontali, e in particolare quelli orbito-basali, può causare la perdita delle capacità di gestione delle emozioni negative, come l’ira e la rabbia, da parte del soggetto (Barrash et al., 2000), aumentando il rischio che lo stesso finisca per manifestare condotte fuori controllo, impulsive ed esplosive. Così come lesioni a carico delle regioni corticali e sottocorticali possono condurre ad una elevata propensione al rischio, all’irresponsabilità, al mancato rispetto delle regole e delle convenzioni sociali. Così come alcune condizioni psichiatriche, quali la schizofrenia, il disturbo esplosivo intermittente, il disturbo borderline di personalità etc., sono spesso associate alla manifestazione di condotte socialmente inappropriate e nei casi più gravi, potenzialmente lesive, agite con una intenzionalità non del tutto consapevole da parte del malato.

Alla luce quindi delle evidenze e dei numerosi studi presenti in letteratura, appare innegabile che determinate lesioni e patologie cerebrali possano considerarsi delle buone candidate al riconoscimento del vizio di mente o, comunque, della parziale o totale incapacità di agire in modo responsabile.

Concludendo però, è doveroso sottolineare che non sempre il reo che sia stato accertato essere portatore di una malattia psichica, un difetto o mutazione genetica, di una lesione a carico di aree cerebrali critiche, potenzialmente in grado di comprometterne il buon agire, possa automaticamente essere giudicato come non del tutto responsabile delle proprie azioni e, in certi casi esonerabile dalla sentenza di imputabilità, perché la sola presenza del danno traumatico o morboso, di per sé, non assicura affatto l’effettiva compromissione della capacità di intendere e volere. Infatti, al di la del ruolo e dell’influenza anche dei fattori socio-culturali, ambientali e personali – che senza dubbio debbono essere dotati di altrettanta considerazione di quelli neuropsicologici, ma che non sono oggetto specifico di discussione in questo articolo – condizioni morbose a carico del sistema nervoso centrale, per quanto gravi possano risultare, non sempre intaccano del tutto le capacità mentali dell’individuo, il quale pertanto, pur in presenza certa di un impairment cognitivo o intellettivo, potrebbe comunque essere capace di esercitare una qualche forma di controllo sul proprio agire. Ma questa resta una sfida ancora aperta.

Riferimenti bibliografici

Art. 88 c.p. – Vizio totale di mente. Regio Decreto 19 ottobre 1930, n. 1398.

Barrash, J., Tranel, D. & Anderson, S.W. (2000). Acquired personality disturbances associated with bilateral damage to the ventromedial prefrontal region. In: Developmental Neuropsychology, 18, pp. 355-81.

Gulotta, G. & Curci, A. (2010). Mente, società e Diritto. Giuffrè Editore.

Raine, A., Buchsbaum, M.S. & LaCasse, L. (1997). Brain abnormalities in murderers indicated by positron emission tomography. In: Biological Psychiatry, 42, pp. 495-508.

Volterra, V. (a cura di), 2020. Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica. Edra Editore.

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