Fino a pochi decenni fa, l’idea che il cervello adulto non potesse modificarsi né rigenerarsi era considerato un principio incontestabile. Si pensava, infatti, che, la neurogenesi fosse un’attività esclusiva della fase embrionale e del primo periodo postnatale di vita. Come il Premio Nobel per la Medicina Ramón y Cajal, scrisse nel 1913: “Una volta che lo sviluppo si è concluso, le fonti della rigenerazione degli assoni e dei dendriti si seccano irrevocabilmente. È necessario riconoscere che, nei centri del cervello dell’adulto, le vie nervose sono assai fisse, compiute, immutabili. Tutto può morire, niente rinascere”.
Oggi però diverse ricerche stanno sfatando questo mito a favore dell’evidenza che il sistema nervoso centrale non solo cambia continuamente sulla base dell’esperienza ma è anche capace di rinnovarsi per tutta la vita dell’individuo.

La prima ricerca pionieristica sulla neurogenesi dell’adulto, svolta nel 1965 da due ricercatori americani, gli scienziati Altman e Das, documentò la presenza, nell’ippocampo dei ratti adulti, di cellule di nuova formazione, con morfologia simile a quella dei neuroni. Fu così che il dogma secondo cui il cervello maturo sarebbe del tutto incapace di generare nuove cellule neuronali iniziò lentamente a sgretolarsi.
Si dice che quando, a fine anni ’90, la Dottoressa Henriette van Praad, del Salk Institute (USA) vide i risultati dei propri esperimenti, la prima cosa che fece fu quella di correre a comprarsi un paio di scarpe da ginnastica. La scienziata e il suo team avevano infatti appena scoperto che, inducendo dei ratti adulti a correre con regolarità su un tappeto ruotante, nell’area del giro dentato ippocampale di questi animali comparivano diversi nuovi neuroni. Inoltre, fu osservato che nei soggetti con patologie neurodegenerative, lo svolgimento di attività fisica permetteva di ripristinare un livello di proliferazione, quasi comparabile a quello dei conspecifici sani. Pian piano si scoprì che l’effetto benefico dell’attività fisica sulla neurogenesi ippocampale adulta era dovuto soprattutto all’azione agonistica di alcuni mediatori, come le neurotrofine – capaci di stimolare la plasticità sinaptica – di fattori di crescita cerebrali e di alcuni neurotrasmettitori, come la serotonina e la dopamina, attivati dall’esercizio motorio.
Recenti ricerche condotte anche sull’uomo, hanno poi dimostrato che sia l’attività fisica, sia l’apprendimento di nuove abilità ed esperienze promuovono lo sviluppo di nuove sinapsi fra i neuroni, potenziando così la capacità di comunicazione intracellulare con effetti benefici per numerose funzioni cognitive, tra cui la memoria e la capacità di apprendimento ma anche per la gestione del comportamento e dell’emotività.
Ad esempio, l’evidenza che uno stress cronico si traduce in una perdita di trofismo cerebrale così come l’osservazione che alcuni farmaci ad azione antidepressiva sono capaci di invertire, almeno parzialmente, questo fenomeno, ha proposto un’ipotesi nuova sull’eziologia di disturbi come l’ansia e la depressione, ritenendo che queste condizioni possano – in parte – essere causate da processi che inibiscono la neurogenesi con conseguente ipersensibilità dei neuroni agli stimoli stressanti e l’incapacità di adattamento da parte dell’individuo alle condizioni ambientali negative.
Alcuni studi hanno infatti evidenziato come, nel cervello dei soggetti depressi o esposti a situazioni molto stressanti, sia spesso rilevabile una significativa riduzione delle aree cerebrali frontali e limbiche, coinvolte nella regolazione della sfera affettiva, emozionale e cognitiva. Alla luce di ciò potrebbe essere pensabile l’idea di trattare queste patologie attraverso la promozione di attività stimolanti fisiche e mentali, capaci di ripristinare la crescita e lo sviluppo neurale.
La scienza, però, si sa, è una nobildonna dal palato difficile ed esige ulteriori prove che l’esercizio fisico, l’allenamento cognitivo, le nuove esperienze etc. possano effettivamente permettere lo sviluppo di nuovi neuroni nel cervello adulto, contribuendo a proteggere la riserva cognitiva individuale. La speranza quindi è che la ricerca in questo ambito continui, e non solo per fare ulteriore chiarezza sul funzionamento di questo organo così complesso e straordinario che è il nostro cervello, ma anche per migliorare le capacità di apprendimento e memoria, riparare i danni dovuti a lesioni o traumi cerebrali, e prevenire – per quanto possibile – lo sviluppo e la progressione di patologie neurologiche e psichiche.
Riferimenti bibliografici
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Ramón y Cajal, S. (1913). Degeneración y regeneración del sistema nervioso. Madrid
Kandel, E.R., Schwartz, J.H. & Jessell, T.M. (1994). Principi Di Neuroscienze. Ed. Ita. Casa Editrice Ambrosiana
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