Spoiler: no, non sto parlando del noto aperitivo!
Un team di ricercatori della Cleveland Clinic e della Oregon Health & Science University (Hod et al., 2023) ha utilizzato un’innovativa tecnica per mappare i percorsi elettrici che collegano e coordinano le attività di comunicazione tra aree cerebrali, fondamentale non solo per comprendere in che modo comunicano le cellule tra di loro, ma anche la natura e il decorso clinico e sintomatologico delle patologie neurologiche.

Le lesioni cagionate da patologie neurodegenerative comportano infatti una serie di progressivi cambiamenti strutturali e funzionali a carico delle aree cerebrali coinvolte – e chiaramente delle reti neurali che le compongono – con conseguenti disfunzionalità cognitive e comportamentali nei pazienti affetti.
Poiché, dunque, capacità quali la memoria, il linguaggio, l’orientamento spaziale o la coordinazione motoria sono tutte regolate da onde cerebrali – ovvero percorsi di segnalazione elettrochimica tra neuroni – riuscire a capire esattamente in che modo avvengono ed evolvono nel tempo questi cambiamenti patologici, potrebbe aiutare anche a capire in che modo si potrebbe agire per andare a rallentare (o persino bloccare) il processo neurodegenerativo.
I ricercatori hanno quindi pensato di sfruttare uno strumento pionieristico di registrazione dell’attività neurale chiamato CaMPARI (che in italiano è l’acronimo per: “integratore raziometrico fotoattivabile modulato dal calcio”) per mappare l’attività cerebrale di alcuni soggetti durante il completamento di compiti cognitivi. Si tratta sostanzialmente di un metodo assolutamente non invasivo composto da sensori capaci di rilevare una proteina fluorescente ingegnerizzata che cambia di colore (passando dal verde al rosso) in base ai livelli intracellulari di calcio -importantissimo catione (ione positivo) che partecipa sia ai processi di induzione del potenziale eccitatorio presinaptico, sia alle cascate di segnalazione intracellulare- consentendo così di rilevare facilmente le aree cerebrali attive.
Questo sistema permette perciò di ottenere una serie di immagini in cui i neuroni attivi, illuminati con un fascio di luce a 400nm, vengono evidenziati in rosso e quelli inattivi in verde. E poiché il marcatore tende a rispondere alla luce (e quindi resta tracciabile) anche diversi giorni dopo l’esecuzione del compito cognitivo, è possibile continuare a monitorare l’attività cerebrale dei soggetti sottoposti al test per mapparne le aree di attività e il decorso della stessa.
Per il momento il test è stato eseguito solo su modelli murini pre-clinici (cioè su topi sani, di controllo) e sui moscerini della frutta (Drosophila melanogaster) ma l’intento dei ricercatori è quello di studiare -e mappare- l’attività neurale di soggetti patologici con l’obiettivo di decodificarne le alterazioni comportamentali per comprenderne meglio natura ed evoluzione, ma anche, e soprattutto, per poter sviluppare test e trattamenti terapeutici mirati in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti con malattie neurodegenerative.
Riferimenti Bibliografici
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Moeyaert, B., Holt, G., Madangopal, R. et al. Improved methods for marking active neuron populations. Nat Commun 9, 4440 (2018). https://doi.org/10.1038/s41467-018-06935-2
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