Nella nostra quotidianità, sebbene molte scelte sembrino il frutto della nostra volontà, una parte considerevole di esse è in realtà plasmata da norme e convenzioni sociali. Tali vincoli, spesso impercettibili, influenzano profondamente il nostro comportamento, guidando o limitando le nostre azioni. La storia e la letteratura scientifica offrono esempi inquietanti delle conseguenze di questa influenza. Il più celebre fra tutti è sicuramente l’esperimento di Stanley Milgram (1963), che dimostrò come individui ordinari potessero infliggere dolore ad altri semplicemente obbedendo a un’autorità, anche contro i propri principi morali.
Questo scenario, tuttavia, solleva una questione cruciale, tanto etica quanto scientifica: cosa accade realmente nel cervello quando prendiamo decisioni morali sotto costrizione? E, soprattutto, come varia la nostra percezione di responsabilità quando le azioni sono dettate da ordini esterni?

Il senso di Agency
Un concetto chiave per comprendere questo meccanismo è il “senso di agency” (SoA), ovvero la percezione soggettiva di essere gli autori delle proprie azioni e delle loro conseguenze. Si tratta di un processo neurocognitivo che si costruisce a partire dall’integrazione tra le intenzioni motorie, le predizioni sensoriali e l’osservazione degli esiti delle proprie azioni. Quando si percepisce pienamente il SoA, l’azione è esperita come volontaria, deliberata, e quindi responsabilizzante. Tuttavia, studi recenti hanno evidenziato che il SoA può diminuire significativamente in situazioni coercitive, come quando si obbedisce a un ordine, riducendo così la percezione soggettiva di responsabilità.
Esperimento: civili vs cadetti militari
Un contributo rilevante in questo ambito proviene da uno lavoro recentissimo (Caspar et al., 2025), in cui la risonanza magnetica funzionale (fMRI)è stata sfruttata per esplorare le basi neurali del SoA durante decisioni morali prese in condizioni di libertà o coercizione. I ricercatori hanno confrontato due gruppi: 19 cadetti ufficiali militari e 24 controlli civili. A ciascun partecipante è stato chiesto di decidere se infliggere o meno una lieve scossa elettrica a una vittima, sia liberamente sia su ordine diretto.
Per misurare la SoA in modo implicito, gli autori hanno utilizzato il paradigma del binding temporale, un fenomeno secondo cui la percezione dell’intervallo temporale tra un’azione e il suo effetto tende ad accorciarsi quanto più l’azione è percepita come volontaria. Una riduzione del binding indica quindi una diminuzione del senso di agency.
I risultati sono chiari: in entrambi i gruppi, civili e militari, la SoA si riduceva significativamente quando le azioni venivano compiute sotto coercizione. Non sono emerse differenze significative tra le due popolazioni, suggerendo che la struttura professionale o il contesto di appartenenza non influenzano la base neurale di questo processo. In altre parole, il cervello risponde alla coercizione in modo simile, indipendentemente dall’abitudine all’obbedienza a ordini.
Correlati neurali della SoA
Dal punto di vista neuroanatomico, l’esperienza coercitiva ha coinvolto l’attivazione di specifiche aree cerebrali, tra cui il lobo occipitale, coinvolto nella codifica visiva degli eventi, il giro frontale -in particolare le sue porzioni superiore, media e inferiore- noto per la sua funzione nel controllo esecutivo e nella pianificazione dell’azione, e il precuneo, una struttura centrale nella rappresentazione del sé e nella riflessione metacognitiva.
L’attivazione di quest’ultima regione risulta particolarmente interessante: il precuneo è stato più volte associato alla capacità di introspezione morale e alla valutazione della propria responsabilità, suggerendo che la diminuzione del SoA sotto coercizione si accompagni a una minore elaborazione riflessiva del proprio ruolo nell’azione.
Queste evidenze, per quanto certamente non sorprendenti, non solo confermano che l’obbedienza può attenuare la percezione di essere gli autori delle proprie azioni, ma mostrano anche che tale effetto è neurofisiologicamente condiviso. Tuttavia, gli autori sottolineano una possibile limitazione: i militari coinvolti nello studio erano ufficiali, ossia soggetti abituati a prendere decisioni e ad assumersi responsabilità. Studi precedenti (Caspar et al., 2016; Meyer et al., 2020) per altro hanno già evidenziato come individui di grado militare più basso tipicamente più esecutivi- mostrino una SoA ulteriormente ridotta, suggerendo che il livello gerarchico e la formazione all’assunzione di responsabilità possano modulare l’impatto della coercizione sul senso di agency.
In conclusione
In conclusione, l’obbedienza non solo condiziona il comportamento, ma ha anche un impatto tangibile sulla nostra esperienza soggettiva di controllo e responsabilità. Questa evidenza neurocognitiva pone le basi per riflessioni più ampie su come formare professionisti in grado di mantenere intatto il proprio senso di responsabilità, anche in contesti fortemente gerarchici o coercitivi.
Riferimenti bibliografici
Caspar E, Rovai A, Lo Bue S & Cleeremans A. Neural correlates of the sense of agency. Cerebral Cortex, 35(3), 2025. https://doi.org/10.1093/cercor/bhaf049
Caspar, E. A., Christensen, J. F., Cleeremans, A., & Haggard, P. (2016). Coercion Changes the Sense of Agency in the Human Brain. Current biology : CB, 26(5), 585–592. https://doi.org/10.1016/j.cub.2015.12.067
Milgram, S. (1963). Behavioral study of obedience. Journal of Abnormal and Social Psychology, 67(4), 371–378. https://doi.org/10.1037/h0040525
Meyer, M. L., Lieberman, M. D., & Eisenberger, N. I. (2020). Having an executive role in the hierarchy mitigates the neural consequences of coercion. Nature Communications, 11(1), 1-10. https://doi.org/10.1038/s41467-020-15728-9