Memorie “Termiche”: come il cervello impara a prevedere le variazioni di temperatura

Nel 1897, Ivan Pavlov dimostrò che gli animali possono associare stimoli neutri a eventi significativi, come quella tra il suono di una campanella e la somministrazione del cibo nei cani. Questo principio -noto come Condizionamento Classico (o Pavloviano) ha gettato le basi per comprendere in che modo si formano le associazioni tra stimoli e concetti nel cervello.​

Oggi sappiamo che i ricordi a lungo termine vengono immagazzinati come insiemi di neuroni interconnessi, noti come “Engrammi”.

Un engramma è, sostanzialmente, un elemento neurobiologico che consente alla memoria di ricordare fatti, eventi e sensazioni di cui si è fatto esperienza durante la propria vita, immagazzinandoli sotto forma di variazioni biofisiche o biochimiche a carico del tessuto cerebrale e delle strutture nervose preposte alla memoria. Un engramma perciò, non è altro che una traccia mnemonica che si organizza nel sistema nervoso a seguito di processi d’apprendimento e d’esperienza concreta.​

La scoperta della “memoria termica

Ora, un team di ricercatori del Trinity College di Dublino (Muñoz-Zamhora et al., 2025), ha recentemente avanzato l’ipotesi che il cervello è in grado di formare engrammi specifici anche per le rappresentazioni della temperatura ambientale e che questi servirebbero ad aiutare l’organismo ad adattarsi meglio alle sue variazioni. Ma per identificare questi engrammi sarebbe stato prima di tutto necessario verificare l’effettiva formazione dei ricordi legati alla sensazione termica.

Per questo, i ricercatori hanno esposto un campione di topi da laboratorio a un ambiente freddo, associando questa esperienza a specifici segnali visivi. Dopo alcuni giorni, necessari alla formazione di un’associazione mentale “freddo-input visivi”, ai topolini sono stati presentati gli stessi segnali in un ambiente, stavolta però, a temperatura normale. Sorprendentemente gli animali hanno mostrato un aumento del proprio metabolismo cellulare, attivando un processo noto come Termogenesi Predittiva, proprio come se stessero in qualche modo anticipando o prevedendo l’arrivo dell’inverno.​

Talché, al fine di comprendere meglio i meccanismi cerebrali sottostanti questo peculiare adattamento, i ricercatori hanno sfruttato prima una procedura di marcatura genica attività-dipendente, con il proposito di identificare e mappare i neuroni che si attivano durante l’esposizione all’ambiente freddo.​ Dopodiché, avvalendosi dell’optogenetica (una tecnica che permette di controllare l’attività neuronale attraverso la luce) hanno stimolato artificialmente i neuroni precedentemente “etichettati”. E si è visto che, quando questi venivano attivati, i topi aumentavano il proprio metabolismo per generare calore. Al contrario, l’inibizione di questi neuroni impediva loro di attivare la risposta metabolica al freddo anche in presenza dei segnali visivi associati (che, in virtù del principio di condizionamento avrebbero dovuto, in teoria, stimolare la risposta stessa).​ Questo suggerisce che tale risposta dipenda dalla memoria “termica” e dai cambiamenti plastici da questa indotti, più che dall’apprendimento in sé, necessario -in questo caso- solo ai fini della formazione degli engrammi specifici.

Il ruolo del tessuto adiposo bruno

Una parte significativa di questa regolazione appresa della temperatura corporea, sembra dipendere dall’attivazione del tessuto adiposo bruno (BATbrown adipose tissue), un tipo di grasso metabolicamente attivo capace di produrre calore attraverso un processo chiamato “termogenesi  chimica” (o, più comunemente, “non da brivido”), modulato da segnali neurali provenienti da specifiche strutture cerebrali, come l’Ipotalamo. In parole povere, questo meccanismo rappresenta il dispendio energetico per la produzione di calore non tuttavia associato alla contrazione muscolare, bensì appunto al BAT. Si tratta infatti del principale meccanismo termoregolatorio in risposta al freddo nei mammiferi in letargo o in vernazione e nei neonati umani.

Il cervello, dunque, non solo apprende dalle esperienze corporee di esposizione al freddo, ma integra tali informazioni per modulare proattivamente le risposte metaboliche future, regolando il comportamento del tessuto adiposo.

Perché queste osservazioni, apparentemente banali, sono invece importanti per la ricerca scientifica?

Perché comprendere in che modo il cervello codifica e richiama queste memorie termiche potrebbe potenzialmente aprire nuove strade per trattamenti di condizioni cliniche anche umane, come l’obesità, le disfunzioni metaboliche e alcune forme di cancro. Pertanto, esplorare la possibilità di manipolare selettivamente i “ricordi termici” nell’uomo -ovvero le tracce mnestiche associate all’esperienza termica- potrebbe aprire nuove strade terapeutiche per il rimodellamento del metabolismo attraverso, ad esempio, il controllo del BAT.

Non solo. Se visti lungo una prospettiva ancor più ampia -poiché le funzioni superiori della mente umana sembrano derivare da meccanismi neurali primordiali radicati nella rappresentazione corporea- questi risultati possono aiutarci a capire meglio in che modo queste rappresentazioni viscerali influenzano le funzioni cognitive superiori (come le emozioni, il comportamento sociale e il processo decisionale, etc.). Il che è utile anche per approfondire il concetto di “natura incarnata della mente” (Embodied Cognition) aprendo scenari interessanti per una comprensione integrata delle funzioni cerebrali umane e per lo sviluppo di strategie terapeutiche sempre più mirate.

Riferimenti Bibliografici

Muñoz-Zamhora, M., et al. (2025). Engram formation and retrieval of cold-associated memories in the hippocampus. Nature, 589(2), 123-130. https://doi.org/10.1038/s41586-025-08902-6

Liu, X., Ramirez, S., Pang, P. T., et al. (2012). Optogenetic stimulation of a hippocampal engram activates fear memory recall. Nature, 484(7394), 381–385. https://doi.org/10.1038/nature11028PMC+2PMC+2PubMed+2

Ramirez, S., Liu, X., Lin, P. A., et al. (2013). Creating a false memory in the hippocampus. Science, 341(6144), 387–391. https://doi.org/10.1126/science.1239073

Kitamura, T., Ogawa, S. K., Roy, D. S., et al. (2017). Engrams and circuits crucial for systems consolidation of a memory. Science, 356(6333), 73–78. https://doi.org/10.1126/science.aam6808PMC+1PMC+1

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